Avevo pensato ad una nuova collaborazione con un sito specializzato in comunicazione politica, e di proporre un rubrica intitolata “Boomerang”. Boomerang si proponeva di approfondire il ritorno mediatico dopo un qualsiasi “lancio”. Alla fine ho desistito, quantomeno per il momento, ma esordire con questo tema sarebbe stata un’occasione davvero congeniale. Non tanto perché le restituzioni dei 5 stelle siano diventate oggi un “boomerang”: tutt’altro, anche se vi è una componente di ritorno interessante da approfondire, dopo un lancio così roboante e d’effetto. Qui, consentitemi la facile battuta, boomerang è di per sé il bonifico, visto che veniva lanciato (giusto il tempo dello screenshot) per poi tornare indietro pienamente in mano al mittente malizioso. Ma saltiamo la cronaca, che conoscete tutti, e fotografiamo il momento: per i 5 Stelle è giunto il momento di ridimensionare la polemica, e ove possibile persino contrattaccare. Cercando di ribaltare la frittata a colpi di “gli atri non restituiscono affatto” / “i nostri costano comunque meno” e trovate dello stesso tenore. Da Travaglio a Di Maio, per intenderci, tutti provano a schierare la difesa su questa linea, per cercare di circoscrivere il problema alla dimensione delle “mele marce” infedeli. Così da liquidare poi la questione con un successivo “noi poi li cacciamo, da voi fanno carriera” e ribadire la purezza e l’integrità del movimento, con il bene (il movimento) che trionfa ancora una volta sul male. La tattica di comunicazione è questa, ve ne state accorgendo.
Provando a metterci la testa sulla questione invece, la polemica ci dà occasione per un approfondimento tout court sui “rimborsi a 5 stelle”, in parte a prescindere dai fatti recenti.

1. Francescani sorpresi a rubare persino dal cestino delle offerte

La materia, come è noto, non ha refluenze di carattere legale né di merito “quantitativo” (infatti c’è chi – vedi istogramma – la butta su un depistante confronto). L’accanimento dei competitors invece si fonda su questo concetto: è come se le c.d. “mele marce”, in un frutteto che continua ad espandersi, abbiano affermato: “non voglio resto, perché sono più generoso di voi: lascerò tutto al cameriere”. Per poi intascare meschinamente, tradendo due volte la fiducia riposta: per l’atto in sé e perché a monte sbandierato come esempio supremo di rilevante differenza morale con gli altri.

2. Restituzioni: restituiamo intanto il giusto valore alle cose.
Tecnicamente i parlamentari non possono “restituire” nulla. Al più – come fanno molti, non solo i 5 stelle – decidono liberamente di versare una parte delle indennità: chi a fondi, chi al partito, chi al ministero e chi ad associazioni, di vario tipo e scopo. Intanto sembra che la media recente di queste “restituzioni” pentastellate si attesti intorno alle 1.700€ al mese (più che improprio quindi lo sbandierato “dimezzamento” di un tempo). Molti deputati – di cui qui non sveliamo il simbolo – ne versano quasi il doppio al loro partito, perché “credono nel valore dei partiti”: ognuno faccia le scelte che crede, ma quantomeno va riconosciuto loro che intorno a queste restituzioni non vi è propaganda (ma soltanto perché non ha lo stesso appeal propagandistico). Resta che la “rinuncia” di tanti è spesso maggiore, che l’indennità effettivamente percepita è inferiore. Parallelamente, mentre si ragiona sulla quota “restituita”, bisognerebbe volgere l’altro occhio anche a ciò che legittima il rimborso. Per dirne una: 700€ di spese telefoniche mensili? 1000€ di panini al mese? Perché comunque a circa 13.000€ ci arrivavano tutti, legittimando la riduzione della “restituzione” attraverso rimborsi praticamente pari agli altri partiti.

3. Parametri comparabili ed espulsioni
Dilagano adesso post in cui viene confrontata l’esigua decina di “mele marce” (14) con “gli altri”: con i 575 indagati del PD ad esempio (riflessione proposta da la Taverna, nomen omen). Sembrerebbe inutile sottolineare, ma in Italia non è mai così, che si mischiano cavoli e capre: Taverna propone un numero complessivo di indagati del partito, ammesso sia quello (complesso verificarlo), che tiene conto di parlamentari e amministratori di ogni ordine e livello. Mentre nel caso dei 5 stelle conta soltanto le “mele marce” di questa storia. Sarebbe inutile, adesso sì, indurre a riflettere che da un lato si contano parlamentari e dall’altro l’insieme totale degli esponenti indagati, amministratori comunali compresi. E sarebbe del tutto impossibile richiedere, se di confronto reale volessimo parlare, provare a proporzionare le cifre con il numero di realtà amministrate, per ottenere un presunto “indice di indagabilità”: indagati / n° enti amministrati. Il risultato sorprenderebbe tanti. Su 17 comuni amministrati dai 5 Stelle, ben un terzo di queste realtà è interessato da vicende contorte e amministratori indagati. Che è una media altissima, superiore a quella di Forza Italia, UDC e PD. E lo stesso con le “espulsioni” (ricordate “noi li espelliamo, da voi fanno carriera”?): il terribile PD ne espelle spesso, in occasione di condanne o anche solo di comportamenti o uscite mediatiche che lo imbarazzano. Oltre che per motivi politici. Anzi, per anni il M5S ha additato il PD nel senso opposto: molti di voi ricorderanno la lista che denunciava quasi 600 espulsioni in un anno del PD, mai discusse con la base e tante, tra queste, per valutazioni conseguenti a procedimenti giudiziari.

4. Il microcredito. Davvero micro.
La disinformazione è totale, ma funzionale. Il microcredito è uno strumento disciplinato in Italia nel 2010 – ben prima della notorietà regalatagli dai 5 stelle – mentre il fondo a cui il movimento destina i soldi (chiaramente non i bonifici-boomerang) è il “fondo di garanzia” (fondato dal governo Prodi) e che – dispiace dirlo – è qualcosa che garantisce soprattutto le banche, nei loro rapporti con le PMI. Esiste e si rende utile, a disposizione delle imprese nelle aree svantaggiate del Paese, piuttosto a prescindere dal benemerito contributo dei pentastellati. 22 / 23 milioni la cifra devoluta in questi anni dai 5 stelle? Posto che costituirebbe meno dello 0,2% delle risorse movimentate, si legge che tale importo avrebbe consentito di “avviare / risollevare” 7 mila imprese. Buona cosa, ma facendo due conti viene fuori una media di 3.285 € ad impresa, che non sembra essere una garanzia così determinante per nessuna banca o salvifica per nessun tipo di attività. Qualcosa non torna. Anzi, il quadro diventa sempre più chiaro: le 1600 / 1700 € mensili potrebbero essere innanzitutto un ottimo investimento di marketing? Del resto, costa al politico meno di tante altre modalità pubblicitarie ed ha un messaggio molto più forte ed efficace. Specie considerato che sui reali importi non entra nel merito neppure l’1% del popolo, e resta ai più “il dimezzamento” dello stipendio.
Parentesi: Di Maio & Co. hanno votato contro l’allargamento di quel fondo del Mise su cui versano i soldi.